martes, 29 de junio de 2010

CONFERENCIA EN LA ACADEMIA DE GUARANI DEL CNC




CONFERENCIA EN LA ACADEMIA DE GUARANI DEL CNC
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El lunes 28 de junio de 2010, a las 8 horas, tuvo lugar la conferencia “Pasado y presente del Idioma Guarani”, a cargo del Dr. David Galeano Olivera (Director General del ATENEO DE LENGUA Y CULTURA GUARANI. La misma se realizó en el Colegio Nacional de la Capital “Gral. Bernardino Caballero”, bajo la organización de la Academia de Lengua y Cultura Guarani “Natalicio Talavera” del CNC.
De dicha actividad cultural participaron casi doscientos estudiantes de diferentes cursos y secciones del mencionado colegio. La coordinación general correspondió a la Mbo’ehára Rosa Insfrán, quien se desempeña como asesora de la mencionada academia.
Temimbo’ekuéra oñemoarandúva pe mbo’ehaópe ohecharamo ha omomba’eguasu ñane Avañe’ê. Mbo’ehára David Galeano Olivera omombe’u chupekuéra mba’e mba’épa ohasákuri Guarani ñe’ê, ivai ha iporâva; ha avei mba’éichapa oî ko’áĝa ñane ñe’ê ñane retâ ha ambue tetâ rupi.
ATENEO DE LENGUA Y CULTURA GUARANI omoĝuahê heta aguyje Mbo’ehára Rosa, mitârusu ha mitâkuña oikéva pe mbo’ehaópe ohechaukáre imborayhu ha ijerovia ñane Avañe’êre.
Maitei horyvéva opavavépe

David Galeano Olivera
(ATENEO Motenondehára)
ateneoguarani@tigo.com.py

lunes, 28 de junio de 2010

HASTA EL FÚTBOL NACIÓ CON LOS GUARANI



LOS GUARANÍES INVENTARON EL FÚTBOL, SEGÚN EL VATICANO
Escrito por jotaefe - Lunes 28 de Junio de 2010 – Publicado por VivaParaguay
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El diario oficial del Vaticano publicó hoy una información titulada «Los guaraníes inventaron el fútbol». El artículo aparecido en L´Osservatore Romano, está firmado por Gianpaolo Romanato y señala que fue en el siglo XVII, en lo que hoy conocemos como Paraguay, donde nació el fútbol.
Está afirmación se sustenta gracias al relato de un jesuita catalán llamado José Manuel Peramás, que pasó varios años en la Reducción de San Ignacio de Miní, al sur de la ciudad de Asunción, una de las 30 Reducciones que había en el Paraguay colonial.
El P. Peramás escribió en su libro «De vita et moribus tredecim virorum paraguaycorum», publicado en 1793, muchas de sus vivencias con los guaraníes y, entre ellas, las diversiones que solían tener en su tiempo de ocio: «Solían también jugar con un balón, que, aun siendo de goma llena, era tan ligero y rápido que, en vez que lo golpeaban, seguía rebotando algún tiempo, sin pararse, impulsado por su propio peso. No lanzaban la pelota con la mano, como nosotros, sino con la parte superior del pie desnudo, pasándola y recibiéndola con gran agilidad y precisión».
L´Osservatore Romano señala que «los guaraníes de hace tres siglos seguramente ya jugaban al balón con maestría. En el fondo son los descendientes de los verdaderos inventores del fútbol». La polémica está servida. Seguramente serán los ingleses en refutar los diarios del P. Peramás.

A Continuación, la versión original del artículo publicado por Gianpaolo Romanato en el L´Osservatore Romano

CHI HA INVENTATO IL CALCIO?
A pochi giorni dall'inizio dei Mondiali di calcio in Sudafrica, l'articolo allegato non risponde ad una elaborata esigenza culturale, ma culturale lo è ugualmente, e come! Tra l'altro si parla degli Indios Guaranì tra i quali hanno lavorato i primi missionari salesiani inviati da Don Bosco nel Nuovo Mondo. E, da bravi Salesiani, non hanno certo mancato di giocare a calcio con i piccoli Indios!
Quando i guaraní inventarono il calcio
di Gianpaolo Romanato
Sulle origini del gioco del calcio le ipotesi si sprecano. Che sia nato in Inghilterra nell'Ottocento è risaputo. Ma oltremanica iniziò il calcio moderno, mentre è ben noto che con una palla rotonda si è sempre giocato: nell'antica Roma, nell'America precolombiana, nell'Europa moderna. Le varianti, per quanto se ne sa, erano tante, più o meno simili alle specialità attuali: si giocava con le mani, con i piedi, utilizzando le anche, con una corda o una rete che divideva il terreno, con delle spatole, facendo passare la palla attraverso degli anelli circolari appesi ai muri. E il gioco aveva molte finalità, dalle ludiche alle rituali, spesso praticato in forme brutali, che lasciavano dolorante e talvolta seriamente ferito chi lo praticava. Nelle culture americane precedenti l'arrivo di Colombo questa pratica era diffusissima, testimoniata da ritrovamenti archeologici e da resti dei luoghi dove si giocava.
Ma abbiamo una testimonianza precisa e inequivocabile che ci dice che l'uso non di un generico gioco col pallone, bensì di un'attività singolarmente simile al calcio moderno fosse in uso, non in tempi remoti, ma con ogni probabilità nel Seicento e fino alla metà del Settecento. Dove? Proprio in Paraguay, il Paese la cui nazionale giocherà contro l'Italia campione del mondo la partita inaugurale del girone f dei mondiali sudafricani.
Ma andiamo con ordine e riferiamo innanzitutto la testimonianza. Che è la seguente: "Solevano anche giocare al pallone, che, anche se di gomma piena, era così leggero e veloce che, una volta ricevuto il colpo, continuava a rimbalzare per un bel pezzo, senza fermarsi, spinto dal proprio peso. Non lanciano la palla con le mani, come noi, ma con la parte superiore del piede nudo, passandola e ricevendola con grande agilità e precisione". Dunque: giocavano con una palla di gomma leggera ed elastica tirandosela l'un l'altro con i piedi e non con le mani. Cioè, giocavano esattamente al calcio. Come noi. Ma chi si dilettava in questo modo? Gli indios guaraní nelle Reducciones gesuite del Paraguay, fiorite dall'inizio del Seicento fino alla metà inoltrata del Settecento. E chi ce lo riferisce con tanta precisione? Un padre gesuita che trascorse diversi anni della sua vita nella riduzione di San Ignacio Miní, una delle trenta Riduzioni distribuite nel Paraguay coloniale, a sud della città di Asunción. Un religioso che conosceva il mondo guaraní meglio della Spagna, dove era nato, e che poteva parlarne con assoluta sicurezza.
Si tratta di José Manuel Peramás, un catalano nato nel 1732, che studiò nel grande collegio dei gesuiti di Córdoba - le rovine del complesso oggi sono state dichiarate dall'Unesco patrimonio dell'umanità - e, dopo alcuni anni di servizio nelle missioni fra i guaraní, fu colpito, con tutti i suoi confratelli, dal decreto di espulsione che lo costrinse a lasciare per sempre il mondo indiano delle colonie spagnole d'America. Dopo un viaggio penoso, che si protrasse per mesi, approdò con moltissimi altri gesuiti espulsi nello Stato pontificio e fu sistemato a Faenza.
Il racconto di questa odissea, Diario del destierro, ripubblicato nel 2008 dall'Editorial de la Universidad Católica de Córdoba, è un classico ben noto a quanti studiano la storia Della Compagnia di Gesù.
A Faenza padre Peramás scrisse due libri in latino sulle Riduzioni. Il secondo si intitola De vita et moribus tredecim virorum Paraguaycorum e fu pubblicato nel 1793, pochi mesi dopo la sua morte. Nel lunghissimo prologo di quest'opera (apparso autonomamente, in traduzione spagnola, prima in Argentina e, più recentemente, in Paraguay con il titolo Platón y los Guaraníes, Asunción, Centro de Estudios Paraguayos "Antonio Gulasch", 2004), compare, a pagina 97, l'inaspettato inciso citato, che descrive la pratica del gioco del pallone tra i guaraní all'interno delle Riduzioni.
L'opera di Peramás, bisogna ammetterlo, ha uno scoperto intento apologetico, fondata com'è sull'ipotesi che le trenta Reducciones fossero quasi l'applicazione storica concreta dello stato ideale vagheggiato da Platone nella Repubblica e nelle Leggi. Ma la finalità glorificatoria non impedisce al gesuita, durante il suo sofferto esilio faentino, di ricostruire fedelmente il modo di vita guaranitico di cui era stato guida e partecipe durante il suo lungo ministero pastorale, con osservazioni, segnalazioni e giudizi che sono stati ripresi da tutta la recente storiografia sull'argomento, tanto di lingua spagnola quanto di lingua portoghese. Il gesuita catalano, insomma, è una fonte che gli studiosi si guardano bene dal sottovalutare e che, piuttosto, citano con diligente attenzione. Uno studioso italo-canadese, Stelio Cro, colloca la sua opera nel genere utopico, ma poi si sente in dovere di aggiungere che "è unica in otto secoli di scritti utopici", perché non si basa sull'immaginazione ma su un fatto reale, accaduto, del quale l'autore che scrive era stato testimone de visu e protagonista in prima persona. Dunque, il cenno al gioco del pallone praticato dai guaraní in forme incredibilmente simili al moderno gioco del calcio - usavano, dice, una palla di gomma piena che rimbalzava trascinata dal suo peso ed era passata da un giocatore all'altro con il collo del piede con grande abilità e precisione - non può non essere la fedele descrizione di ciò che aveva visto nella grande piazza centrale, davanti alla chiesa e alle abitazioni, che dominava ciascuna delle trenta Riduzioni.
Insomma, i guaraní di tre secoli fa giocavano al pallone con sicura maestria. E allora, nella sua partita inaugurale di lunedì prossimo, l'Italia campione del mondo farà bene a non prendere sottogamba i giocatori paraguayani, eredi del mondo guaraní delle Riduzioni. In fondo, sono i discendenti dei veri inventori del calcio.
(©L'Osservatore Romano - 11 giugno 2010)

jueves, 24 de junio de 2010

PRESENCIA DEL GUARANI EN LA PROVINCIA DE CORRIENTES - DR. GAVINO CASCO

LA PRESENCIA DEL GUARANI EN LA PROVINCIA DE CORRIENTES
Doctor Gavino Casco - Corrientes -Argentina-
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RESUMEN: A la llegada de los españoles existía en todo el corazón de América del Sur una civilización muy avanzada -hasta ahora muy poco estudiada y conocida - que es la guaranítica tan igual o por lo menos comparable con la azteca, tolteca e inca.En el presente trabajo se describe el legado guaraní, su área de presencia, los puntales de su cultura constituida por su elevada religión y la pefección de su lengua, que sin poseer escritura, sin embargo se mantiene a más de quinientos años pese al desprecio, persecusión y olvido no han podido matar a esa "maldita lengua" como lo llamó Sarmiento. La generación presente está redescubriendo el guaraní -cuyo verdadero nombre es "Ava ñe'é" y estudiándolo se va abriendo paso para su vigencia y purificación a cuyo fin contribuye el presente trabajo que a continuación se ofrece al lector.

VOCES IMPORTANTES: Agrafo-Antonio de Montesinos-Antonio Ruiz de Montoya- Añá -Ava ñe'é- bandeirantes -Bartolome de las Casas -cabildos-civilización guarani - cosmovisión- culto a los muertos- cultura- diablo -Dios bíblico -Dios Supremo -Dios -Deus-Dios Incognitus -documento- etnicidad-etnicización- Francisco de Vitoria -homo sapiens -guaraníes - gutural -Ignotus Deus-idoma -legado -Jakairá- Jahave-Jehova -jopara -Karaí- Karai ñe'é-lucha - lengua - maldita lengua-mamelucos - memoria colectiva- mito- monumento -nacióm guarani - nasal-Ñamandú- Ñanderuvusú- Padres jesuitas- parte - Pedro de Córdoba- poder central - presencia- proyecto colonial- religión -resto - sapukái- teologia de la selva- tekoha -Tehilard de Chardín -tovaja-Trinidad Cristiana-Tupá- Ventral- vocal -yopará-

Introducción:
Ya han pasado más de quinientos años, desde aquel momento en que Europa –a través de España pisara oficialmente en América en la persona de Cristobal Colón. Fue el encuentro de dos culturas con grados distintos de civilización.-Desde entonces sin entrar a analizar el terreno religioso, el proyecto colonial de los conquistadores se impuso a las buenas y a las malas. La cruz y la espada llegaban juntas a muchos lugares a fin de "crear un nuevo orden" de acuerdo a su visión etnocentrista que favorecieran intereses, de orden especialmente material. A partir de esta actitud se entabló una lucha sin cuartel, entre las culturas aborígenes, en inferioridad de condiciones ,contra la prepotencia, el desprecio y el atropello genocida de los conquistadores conocedores del poder mortífero y destructor de la pólvora presente en sus armas. El proyecto colonial, era imponer a las buenas y a las malas su visión eurocentrista. No importaba a costa de que atropello o destrucción.
¿Sabían Uds.que los primeros interlocutores de Colón fueron guaraníes?.A la pregunta de quiénes son Uds. de los recién llegados, a quienes corrieron a recibirlos al bajar en la isla San Salvador la respuesta fue :”Ore gueriní”,esto es en guaraní, “nosotros somos guerreros”. Y así fue. Eran guerreros guaraníes los que corrieron a ver y constatar la presencia iinvasora, por ser ellos quienes tenían la vigilancia y la custodia de la comunidad. Desde entonces se corrió entre los recién llegados, la voz de que eran “guaraníes” los que les habían recibido tan pacíficamente. Pero el oido europeo no acostumbrado a escuchar los nuevos idiomas aborígenes entendieron “guaraní” en lugar de “gueriní”.y así se consagró definitivamente la primera voz vigente hasta hoy.
Hay muchos hermanos aborígenes en territorio argentino:Tobas, mapuches, tehuelches, wici, y otros más que sería largo enumerarlos. En el desmenuzamiento y división arbitraria, de acuerdo a sus intereses, que hicieron los invasores de América Latina, con todos sus pobladores , la gran nación guaraní quedó dividida en múltiples fracciones. Así algunos quedaron en Venezuela, Bolivia, Ecuador, Brasil, Uruguay, Argentina en su provincia de Corrientes, y sobre todo en el Paraguay . Solo a los guaraníes en el presente trabajo quiero referirme en lo que atañe a la provincia de Corrientes. Es un resto y parte de aquel despojo, atropello y división que hicieron los invasores de la gran nación guaraní. No me olvido ni desmerezco la historia de destrucción, atropello y desprecio que han sufrido otros pueblos originarios hermanos, merecedores de largos tratados, resarcimiento y reivindicación histórica , que me es imposible encarar aquí. Solo resta que las generaciones futuras despierten y reconozcan quienes fueron los verdaderos y legítimos dueños de estas tierras.

-I- Area de extensión de los guaraníes
¿Sabían Uds.que la presencia guaraní iba desde el rio Tuvichamirí (hoy rio Salado) y San Clemente del Tuyú– ambos de la provincia de Buenos Aires, pasando por todo el Litoral argentino, la mesopotamia, el corazón del Brasil por la Amazonia, hasta llegar a La Florida en Estados Unidos?. (San Clemente del /-tuju-/ (barro), o bien /-tuvichamiri-/ (jefe pequeño) nombre del rio Saladillo, corroboran la presencia de la civilización guarani en tal vasta extensión..El vocablo “Caribe” proviene de “karai-ve” (los más señores) expresión con que los guaraníes reconocían la superioridad de los aztecas , mayas y toltecas de Centro América. La extensión de la presencia guaraní –según surge de los descubrimientos arqueológicos y antropológicos recientes – abarcaba una franja que acusa un largo de toda América del Sur de 8000 kilómetros y un ancho de 800 a 1000 kilómetros desde los Andes hasta el Atlántico. En esta división a Corrientes -en toda la extensión de la provincia- le tocó en parte una porción guaranítica que la mantiene aun en el coraje de su sangre, en su cultura y ante todo en su lengua.

-II- El legado guaraní-
Los guaraníes no dejaron grandes construcciones arquitectónicas como lo hicieron los griegos, romanos, egipcios, o aquí en América los aztecas, toltecas, mayas e incas.-Pero nos han legado un magnífico documento –o monumento si se prefiere- de naturaleza espiritual consistente en su cultura cuyo dos elementos fundamentales fueron y son: Su lengua y su religión. Son los dos elementos pilares de su legado: Su sublime Religión –fruto de una "teología de la selva" -como lo llama Bartomeu Meliá, sin ídolos y su idioma que más que un idioma es un sistema de lenguaje. Su religión si no hubiera sido sublime ya habría muerto. Pero aun late –como el fuego bajo la ceniza- en muchas de nuestras creencias y costumbres del Nordeste y de toda la región de influencia guaranítica. Esta realidad es tema de otro trabajo y estudio. Y si su lengua no hubiera sido sistema de lenguaje, sin contar entonces con la tecnología de la escritura escritura ,ni con los medios actuales de comunicación –entiéndase prensa, radio y televisión, ni Inernet- no se explica que en tan vasta extensión como la que hemos señalado más arriba, se hablaran y se entendieran sin ningún problema.
Sin un poder central que los uniera, ni más vínculos que los necesarios para convivir en una paz precaria con sus semejantes, los grupos familiares o tribales se instalaban por unos cinco o seis años en el lugar elegido. Por ser seminómadas antes que nada hacían las rozas ,es decir, talar y preparar el terreno destinado a sembrar el maiz /–avati-/ las legumbres y hortalizas /–mandio ha jety-/,base de su alimentación junto con la caza y la pesca. La vida religiosa impregnaba totalmente su vida cotidiana.No en vano el padre Bartoméu Melliá los llama “teólogos de la selva”. El cambio contínuo de lugar,o sea su seminomadismo se explica por la continua peregrinación y búsqueda del “yvy mara he’y” o sea “la tierra sin mal” en forma colectiva. Esta concepción y creencia religiosa fundamentaba su seminomadismo y su economía de subsistencia. En forma personal la búsqueda del /-teko mara he’y-/” o sea la “vida personal sin mal o perfecta” hacía progresar hacia la perfección de cada persona, ante todo de su arte del /-ñe’ẽ porã-/ o sea la oratoria en su lenguaje, muy apreciada y una cualidad exigida a los dirigentes. Los /-mburuvicha-/ tenía que ser además de valientes, muy buenos oradores como constatamos en /-Overa-/.”el brillante”, (cuyo nombre lleva una ciudad de Misiones) que lideró una de las más o menos treinta y tres rebeliones guaraníes conocidas durante la colona.
Este modo de organización social se llamó “Tekoha” y fue un modelo de sociedad que estuvo vigente durante por lo menos tres milenios, en la que sus miembros pudieron vivir en solidaridad, democracia y libertad, sin menoscabo de la naturaleza y sin delegar su soberanía en pretendidos representantes que después se erigen en opresores de la libertad de los individuos. No fue una utopía , sino algo que existió durante un tiempo infinitamente más largo del que existe nuestra “formal democracia representativa” que no es otra cosa que una dictadura legitimada por las urnas. El pueblo que delega su soberanía se convierte en esclavos de unos pocos burócratas dictatoriales. Es el convidado de piedra ante las decisiones que afectan sus vidas ,su economía y su libertad,que luego tiene que salir a exigir con manifestaciones y cortes de rutas peligrando su integridad física .Una de las formas más perversa es el poder que se otorga a un puñado de hombres de decidir sobre la vida o la muerte o sobre las costumbres de centenares de miles de seres humanos. La historia debe enseñarnos. Cuando escribo estas líneas llueven bombas sobre el Líbano, y la franja de Gaza,y con anterioridad sobre Irak, injustamene atacado en base a mentiras como la posesión de armas químicas,mientras centenares de miles de ciudadanos ,impotentes expresan su desaprobación en todo el mundo.-Si creemos en la soberanía de los pueblos debemos respetarla y escucharla en la presencia y en la voz de sus integrantes que son los seres humanos.
Como ejemplo del entendimiento entre sí de los guaraníes –sin un poder central en tan vasta extensión -recordemos que Sebastián Caboto, cuando en 1528, remonta el rio Parana por primera vez– trajo EN SU TRIPULACIÓN un solo intérprete- para entenderse con las tribus costeras en un trayecto de más de mil kilómetros: Desde su entrada en el estuario del Plata, recorriendo todo el litoral hasta llegar hasta lo que hoy es la represa de Yasyreta en Ituzaingó (Corrientes).
Posiblemente tal intérprete fue Francisco del Puerto –único sobreviviente del ataque en que murió Juan Diaz de Solis, en manos de los charrúas en 1516.
Dijimos que ese monumento cultural de tipo espiritual e inmaterial que nos dejaron los guaraníes fueron su : Su religión y su idioma. Ambos elementos vitales –como las piedras angulares de un edificio del que nos habla el Evangelio – son como dos caras de una misma moneda --sufrieron el ataque el desprecio y la difamación de parte de todos los conquistadores.-Porque la cultura –es decir religión e idioma -eran una barrera infranqueable para la instauración del proyecto colonial de destruir,sustituir ,someter y reducir a los guaraníes que resistieron tenazmente y siguen resistiendo actualmente aunque ya en forma diferente. El encuentro entre la cultura guaraní y la española tuvo varias etapas en el contacto de dominación o proyecto colonial .Descubrimos a grandes rasgos tres momentos principales de penetración y dominio de los guaraníes.
En un primer momento se desarrolló –propiciado ante todo por Francisco de Irala –la política del /-tovaja-/ (cuñado o pariente) en la cual la conquista se realizaba por medio de la fusión de sangre. En ella los españoles que se hacían llamar /-karaí-/ tomaban una o más “servidoras” indias que eran verdaderas concubinas cuyos hijos llevaban sangre española y guaraní.-Así se engendraba las “obligaciones”mútuas en teoría de protección y ayuda fundada en el parentezco (/-tovaja-/ (hoy significa cuñado).
En un segundo momento ,cuando el meztisaje comienza a aumentar y ya resultaba insuficiente para mantener la cohesión social –se recurre a la creación por medio de leyes de las encomiendas que llevaron a verdaderos abusos pues los indios solo tenían obligaciones pero sus derechos eran ignorados pese a estar en los papeles.Solo debían pagar tributos pero la contraprestación que debían realizar los encomenderos de educarlos ,defenderlos y ayudarlos solo existían en teoría y nacieron abusos y surgieron levantamientos de los guaraníes –una treintena las que se conocen- y solo consiguieron verdaderas masacres y genocidios.Por la escasez de dinero para pagar los tributos los guaraníes las encomiendas derivaron en “mitas” y “yanaconas” verdaderas esclavitudes de servicios personales, resurgimiento del feudalismo medioeval en su peor acepción.
En un tercer momento cuando ya las encomiendas, yanaconas y mitas, fracasaban y el levantamiento de los guaraníes, amenazaba de muerte al proyecto colonial surgieron las reducciones cuyo papel político en el fondo fue un verdadero “opio” para el sometimiento de los guaraníes y condición “sine qua non” para la implementación del proyecto colonial con el amansamiento incondicional de los aborígenes. Pues pese al enfrentamiento de los Jesuitas con los encomenderos –que se traducía a veces en interdicciones como negar la absolución sacramental a aquellos españoles que no se ajustaban a las Leyes de Indias, no obstante los religiosos perdieron la batalla en forma definitiva con su expulsión del Imperio Español en 1768.- Son magníficas las conclusiones de la doctrina de Francisco de Vitoria sobre los Indios, pero solo quedaron en buenas intenciones al igual que los dominicos Pedro de Córdoba en las Antillas y Antonio de Montesinos –como tambien Fray Bartolomé de las Casas –que denunciaron los abusos cometidos contra los taínos en Centro América- que eran guaraníes según Moises S.Bertoni- pero nada concreto cosiguieron.
Podíamos distinguir un cuarto momento que es la era de los bandeirantes o mamelucos cuando entran los “negreros” o era de la piratería sobre seres aborígenes indefensos y débiles para arriarlos como ganados y llevarlos al mercado de esclavos en San Pablo. Fue una era de terror que los Jesuítas lucharon en vano contra los portugueses y que incluso movilizó a Antonio Ruiz de Montoya a viajar a España a fin de pedir autorización para fabricar armas de fuego para defenderse los guaraníes. Previamente realizó el mayor éxodo guaraní conocido desde el Guairá –con más de doce mil guaraníes, contando con mujeres y niños, en búsqueda de un lugar más seguro contra los saqueos y ataques bandeirantes, llegando hasta lo que hoy es Misiones, donde fundaron los pueblos de Santa Märía La Mayor, San Ignacio, y otros pueblos que aun hoy están aunque más no sean sus ruinas como el último nombrado. Más tarde tuvieron que huir hacia más al sur para llegar hasta La Cruz, Yapeyú, San Miguel y Loreto, lugares de Corrientes donde hoy la mayoria de la población local habla aun el guaraní. Esto ya entra en un quinto momento que corresponde a la historia reciente de los pueblos correntinos a partir de la expulsión de los jesuitas en 1768.

A) SU RELIGION
En cuanto a la religión magnífica guaraní –es otro de los pilares de la resistencia al proyecto colonial- Fue recién descubierta y estudiada por los antropólogos desde el siglo diecinueve en adelante especialmente por León Kadogan, Karl “Nimuendaju” Unkel , Moisés Santiago Bertoni ,Branislava Susnik y otros que sería largo enumerarlos. Para los conquistadores la religión de los guaraníes era demoniáca, y no se dignaron a estudiarla, ni aún los jesuítas. Basta leer para convencerse de esto el libro titulado "La Conquista espiritualdel Paraguay" escrita por Antonio Ruiz de Montoya. Sin embargo los antropólogos han descubierto que los guaraníes llegaron a la noción de un Dios único y verdadero a quien llamaron “Ñamandu Ñanderuvusu tenondete”.-O sea “nuestro padre grande que está al comienzo de todo”. Esto lo descubrió y señaló ante todo León Kadogan, un hijo de ausraliano nacinalizado paraguayo - y tambien Moisés Bertoni, un suizo que vivió más de treinta años en la selva con los guaraníes, donde le revelaron varios misterios y secretos a los que ni aun los jesuítas habían accedido aun con toda la ascendencia que tenían sobre los naturales. Pueden encontrar esto si alguien tiene interés en la obra póstuma del citado autor en segundo lugar, en su libro titulado “La civilización guaraní”-Iia. Parte –Religión y Moral” .- Este autor en la pagina 49 de la mencionada obra cuenta lo siguiente refiriéndose al cacique Rona de los Mbihá Ubaeveraguá de Puerto Britania :

”A una pregunta nuestra contestó :”Sí, nosotros sabemos bien que vuestro Dios, que vive allá donde truena se llama Padre (Papá) ,mientras nosotros creemos en un Padre de Todos (Ñanderú) ,que fue antes de todo (Tenondeté).-De ese Padre vosotros nos contáis cosas muy lindas.-Pero, cuando vemos cómo vuestro Dios os permite, porque pensamos de otro modo, por causas insignificantes perseguirnos y matarnos a tiros, no podemos tener en él ninguna confianza.-Diferencias de opiniones hay seguramente entre nosotros tambien ,pero las consecuencias son a lo sumo una paliza,siendo nosotros siempre tolerantes con los demás, cuando ellos son algo indulgentes con nosotros ...”(Op.cit.pag,49-50).-

Es la síntesis del antitestimonio cristiano más repugnante que podemos encontrar en boca de un guaraní.Pese a que los jesuítas –como ya dijimos- no se dedicaron a estudiar la religión guaraní en sí misma considerada, tangencialmente Ruiz de Montoya dice ,en su libro “Conquista espiritual del Paraguay” editado en 1639.- (Cfr.pág.76 –Ed.Rosario –1989), lo siguiente de los guaraníes :
” Conocieron que había Dios y aún en cierto modo su Unidad, y se colige del nombre que le dieron ,que es Tupá, la primera palabra “Tu” es admiración y la segunda “pa” es interrogación , y así le corresponde al vocablo hebreo “Man-hu” –quid est hoc”.en singular.--Nunca tuvieron ídolos, aunque ya iba el demonio imponiéndoles en que venerasen los huesos de algunos indios ,que viviendo fueron famosos Magos (como adelante se verá)”.-
Analicemos estas afirmaciones de Moisés S.-Bertoni y de Montoya sin olvidar que para completar las nociones a desarrollar habrá que leer a León Kadogan –a quien los Mby’a le revelaron el Himno de la Creación , y las obras de Carl Nimiendajú Unkel.

1º)Sobre Tupã
Una primera pregunta necesaria que surge espontáneamente para nosotros -hoy hombres del siglo veintiuno - es por qué los jesuitas idenficaron al Dios Bíblico (Jehova ,antes, ahora Yahve) con Tupã (Dios) ,Tupãsy (madre de Dios) ,tupao (casa de Dios , el templo),etc. sabiendo que Tupã no era el Dios Supremo de los guaraníes sino el hijo menor de Ñamandu.-En efecto para éstos el Dios Supremo era /-Ñamandu ñanderuvusu tenondete, ndajahecháiva ndiihpih’ri-/,o sea -“Ñamandu nuestro Grande Padre que está delante de todo ,invisible y sin principio”- creador -origen engendrador- de los dioses menores que eran Jakaira, Karai, y Tupã, con sus respectivas mujeres.
A propósito de esta primera cuestión dice Moisés S.Bertoni en su libro”La civilización guaraní –parte II-Religión y moral-/pag.59 –Editorial Indoamericana –Asunción-Buenos Aires.-1954 –lo siguiente:”Los primeros catequizadores tuvieron con acierto al dar el nombre de Tupã a Dios.Desde el punto de vista práctico, Tupã es la forma de Dios humanizada y por lo mismo el aspecto más asequible a la generalidad ;desde lo esencial ,Tupã es la antropomorfización de conceptos abstractos que representan atributos de Dios, el poder creador y la suprema justicia;y es mi impresión que materialistas y antireligiosos se equivocan al reprochar a aquellos tal modo de proceder".
"La palabra “Tupã”,evocando un concepto espiritual en su esencia y algo antropomorfizado en su representación, se ajustaba indudablemente a lo que los jesuitas necesitaban como correspondiendo al vocablo Dios.Ya análogamente la Iglesia Católica había adoptado la palabra "Dios"”o “Deus"” en vez de Jehova siendo así que este último nombre debía corresponder al que adoramos, y no aquél, que representa el Dios de los paganos.
Los misioneros jesuitas llamaron Tupã con todo acierto al nuevo Dios que traían,porque éste era sobre todo la persona de Jesús.
Tupã, la forma divina más próxima del hombre , guarda , en efecto,correspondencia con Jesús. Tenondeté está más alto. Es más misterioso e inaccesible , y no invocable.-Los “pavé” sólo alcanzaron a mantener trato directo con Tupã.-Tupã es el hijo menor de “Ñanderuvusu-dice Unkel Nimiendaju.-Tenondeté es Dios espíritu.Es Dios Padre.Tupã es Jesús.
Solo falta el Espíritu Santo, o sea, la creencia de una Trinidad.-Aquí es una dualidad. Esplícase por tal manera que los paulistas proclamasen que no hay diferencia entre el cristianismo y la religión guaraní.
Pero, para comprender esto, es necesario compenetrarse de la verdadera esencia de la Trinidad Cristiana.Esta no tiene ninguna conexión con la Trimurti Indiana, esencialmente distinta y tan solo lógico-filosófica,concepción puramente humana, como síntesis de los tres fenómenos de la naturaleza –nacer,vivir,morir:creación, conservación,destrucción-fenómeos sucesivos, en su exteriorizaciópn práctica, analíticos como conceptos, y contradictorios en sus funciones respectivas.En tanto que la Trinidad Cristiana es una, sus fenómenos coexisten , y obran a un mismo tiempo, su concepto es absolutamente sintético y sus funciones completamente armónicas...La evolución de la idea religiosa en el mundo karái-guaraní es un reflejo de la evolución universal. Una confusa noción de la existencia de algo mucho más grande y más fuerte que nosotros , fuera y por encima de nosotros mismos , fue el origen de la religión de todos los pueblos”.- Más adelante agrega Moisés S.Bertoni : “49.Ndiihpihri y Ndayaecháva son las voces que corresponden a sus atributos:No tiene principio y es invisible.El Dios Incognitus no es evocable ni exorable.De allí que las invocaciones y plegarias no se elevan sino a Tupã, al Sol y a las deidades menores.-El nombre Poromoñangára ,no obstante ser usual, no debió ser el original;más bien designa un atributo.-Montoya nos proporciona el nombre verdadero, con toda claridad, aunque con la explicable concisión de quien elude cuidadosamente tocar creencias indígenas, rehuyendo hasta la simple alusión a las religiosas.-En el artículo “Tupã” , el célebre autor del Vocabulario Guaraní dice textualmente:”¿Manhu? ¿quid est hoc?-nombre que aplicaron a Dios” .-Y no queda duda :El tiempo del verbo indica épocas anteriores, y son los propios indios los que dieron a Dios ese nombre”.
“La etimología, justa o no, que da Montoya es la prueba más concluyente de que los jesuítas reconocieron que los Guaraníes habían alcanzado la elevada noción del “Incognitus Deus” de San Pablo y de los griegos más adelantados. Modifiquemos ligeramente la grafía de Montoya para mejor interpretación del nombre.-La /-h-/ de Montoya no es el fonema aspirado; es muda y corresponde a la suspensión o “step” que conviene indicar con guión menor (-) o con el apóstrofo especial (‘).-La /-u-/ es evidentemente seminasal,como “tu”,admiración (l.c.) y en “ndu” y en “mtu” conmutación de un mismo sufijo que indica cosa sagrada o misteriosa.-Montoya descuida frecuentemente la semi-, y nosotros la damos con el mismo signo de la nasal, lo cual es,,por lo demás, lógico, pues aquella funciona como ésta. “Man-ú” y “Mantú” son las dos formas ortográficas que adoptamos en nuestro sistema.”
“man” = “grande”,en los dialectos karaí;de donde se colige la antigüedad del concepto (así Mamboia,Man=grande,Mboia =serpiente) “u”= “ignotus”.
La etimología que nos dieron los Padres Jesuitas del nombre guarani de Dios –generalmente aceptada –viene a probar que los Guaraníes alcanzaron el concepto del “Ignotus Deus”.
El Dios Supremo recibe asimismo el título de “Ñanderuvusú” que se hace sinónimo de “Ñanderú Tenondeté” o de “Tupã” según sea el grado de antropomorfización en el concepto del vulgo,grado que varía según las naciones ,desde el más mínimo hasta casi el total.Unkel (Kurt Nimiendayu Unkel) traduce dicho título por “grande espíritu” , bien que el significado literal sea “nuestro grande padre” ,cuyo “nuestro” (“ñandé” y no “ oré” ),incluye a todos los hombres de la tierra”.
Resumiendo los principios religiosos de los guaraníes Moisés S.Bertoni afirma lo siguiente:
“La religión guaraní tiene por bases estos principios fundamentales:
1º- Hay un Dios Supremo que todo lo creó y todo lo gobierna.-
2º- Dios es un puro espíritu siempre invisible.-
3º-Dios es la Causa de todo,de lo malo como de lo bueno.-
4º- Hay varios semidiones;no son puros espíritus;son los agentes justicieros, tienen poder sobrenatural,pero carecen del poder creador.-
5º-El alma es inmortal.-
6º -El espíritu de los difuntos permanecen cierto tiempo en su anterior morada, durante el cual tiene las mismas necesidades que en esta vida, y tenía gran poder sobre los vivos.
7º- Cada uno de los seres vivientes está bajo el amparo de un genio protector especial”.-
En nota al pke de página Bertoni señala:”En el 1º y 5º es igual a la cristiana;en el 2º y 6º ,a la egipcia;en el 4º más o menos parecida a las religiones politeístas,y en el 7º semejante a la china y etrusca.-“ (Op.cit.pag.50).-

Entre los guaraníes el concepto de Luna y el de Fecundación se identifican, y las estrellas , como entre los peruanos, son hijas de la Luna; mas ésta es fecunda por virtud propia y su maternidad es sólo abstracta, cuando menos entre los pueblos “Varangatú” ya que no se alude ni a nupcias ni a concepción. El sol y la luna son hermanos.

2º) Sobre el culto a los muertos
Con respecto al culto a los muertos –a la que la mentalidad etnocentrista de Antonio Ruiz de Montoya –considera como de penetración demoníaca –veamos lo que tambien Moisés S.Bertoni dice al respecto en su obra citada pag.110:”...Muchos grandes hombres no deben su celebridad popular a sus mejores obras o acciones precisamente, sino más bien a la de menos valor ,y aun a sus errores y extravios...El mito constituye una realidad más auténtica, más viva, que el personaje histórico de hueso y carne,pues éste, en gran parte, no es otra cosa que una realidad individual , mientras que aquél es íntegramente una realidad social. Ningún personaje fue completamente lo que hubo de ser.-Los mitos, en cambio,siempre fueron .-Aquél forzosamente las alteraciones impuestas por dificultades prácticas de toda clase, que en la vida estorban el desarrollo de una personalidad;en tanto que éstos se forman sin obstáculo alguno.-Muchos actos del personaje histórico son discutibles y podrían ser incriminados, o estar en pugna con la misión histórica de éste.-En el mito , por el contrario, nada es discutible, ya que necesariamente, él es lo que la sociedad quiere que sea.-En tal sentido, el mito refleja fielmente la mentalidad y las circunstancias de la masa humana, con sus virtudes y sus vicios, sus esperanzas y temores, sus ideales y su práctico modo de ser.-El personaje histórico nunca podrá reflejar fiel y completamente todo ese complejo, por tener que pasarlo a través de su mentalidad individual, que necesariamente actúa, alterando en alguna medida aquellas condiciones.
¿Qué los personajes históricos han producido hechos reales, y los mitos no? Grave error.Un personaje histórico real produce determinados hechos reales; pero estos hechos son limitados por lo mismo que son productos de la realidad y , en buena parte obra de un hombre.-Mas, cuando el personaje es elevado a la jerarquía de mito, entonces representa todos los hechos pertinentes, resume en sí a todos los autores, inclusive a la masa popular que , aunque anónima,es verdadera autora de cosas reales y en muchos casos trascendentales-Un magno acontecimiento, una época extraordinaria, una gran colectividad, se transforma entonces en mito”.
Piense el lector en estos momentos al terminar esta cita de Bertoni en el 25 de Mayo, en San Martín y / o en el Gaucho Gil.-Este último personaje es un mito de la cultura guaraní subyacente en la identidad correntina del “culto a los muertos” a lo cual Ruiz de Montoya atribuye infiltración demoníaca en el texto que venimos analizando, cuando en realidad es una cuestión sociológica y no obra del demonio. Conozco un proyecto actual del director del Archivo Histórico de la Provincia de Corrientes doctor Leopoldo Jantus que está en la tarea de publicar los documentos sobre nuestra historia correntina especialmente lo referente a la fundación de Corrientes, obra que significará la desmitificación de muchos personajes y la sorpresa de muchas realidades históricas que ignorábamos.
Lo que que hasta aquí dice Moisés S.Bertoni sobre las creencias de los guaraníes y la evolución de las religiones en general coincide con el pensamiento de la “evolución universal” del gran científico cristiano el jesuita Teilhard de Chardín y tambien con la doctrina del pensador hindú Sri Aurobindo.

3º) Aña
/-Aña-/.-Una deidad guaraní menor ,justiciera. Los jesuitas la identificaron con el ángel malo, diablo o lucifer.En realidad no es así. Al respecto dice Moisés S.Bertoni en su obra ya citada –al tratar las divinidades menores -en la pág.82 :”...El Añãnga (Anyanga) Aña (Angá) en la forma dialectal del Paraguay ocupa seguramente, en orden de importancia, el primer plano entre esas divinidades.Los sacerdotes católicos vieron en él un ser equivalente al diablo, y ,como para los cristianos los dioses aborígenes no podían menos de ser diabólicos, concluyeron por equiparar a éstos con el demonio o principio del mal.Cuando los Padres Jesuítas se decidieron después , en su empresa de catequización , a amoldar a los nombres indígenas todos los conceptos cristianos, consagraron definitivamente la sustitución del diablo por Añãnga, tal como habían resuelto designar Tupã a Dios, Tupãsy a la Virgen, Avaré al sacerdote , Añãretã al infierno, Tupão al templo,etc.- (Op.cit,pag.82).-
/-Aña-/ En síntesis es primitivamente una deidad menor justiciera en la escala de seres sobrenaturales entre los guaraníes. A su vez Moisés S.Bertoni opina diferente según ya hemos visto un poco más arriba y bajo Nº 63 y Nº 185 del Vocabulario en la quinta parte. Remitimos a lo allí consignado.
Pero sobre su concepto hav más opiniones. Veamos algunas de ellas:
a)Saturnino Muniagurria al respecto dice en libro Guaraní: "Espiritu del mal, el que como tal carecía de sexo.De allí que pueda decirse indistintamente “añamemby” o “añara’y” (hija o hijo de “aña”), el mayor insulto que pueda dirigirse en guarani. Los españoles asimilaron este espiritu al del diablo o demonio, y le dieron en consecuencia el sexo masculino, desnaturalizándolo.”Añahera” y “añamechu” ,son derivaciones del mismo nombre, coprrespondientes sin duda a distintas maneras de actuar de aquella potencia desconocida” (Op.cit.pág.95 -Ed.Hachete -1947-Bs-As-).
b)Tampoco quisiera que se pierda la interesante opinión de Secundino Ponce de León –un estudioso guaranista correntino -cuando prologando la obra de Juan de Bianchetti titulada “Gramática Guaraní” en 1944 dice lo siguiente:” ...”Tenemos como ejemplo , el caso notable del vocablo “Añatuya”, que designa un pueblo en Santiago del Estero y una estación del F.C.C.A –en la República Argentina.-Dicha voz, Añatuya, tiene el acento grave del Quechua, al que pertenece ahora. Pero “todo el mundo” le atribuye origen Guarani, poniéndole el acento agudo de este idioma , y lo traduce así en: “Añá tuyá”; considerando a “Añá” con el criterio europeizante de los sacerdotes de la conquista , quienes identificaron a dicho mito, con Satanas, aplicándole el concepto bíblico –esto es , el Demonio o el diablo –sin advertir que Aña no era más que un personaje travieso del sexo femenino, concebido por los “ava” ,en la era del matriarcado americano.La segunda parte de la frase que analizamos o sea : “Tuyá” , quiere decir viejo, ( en la misma lengua y en género masculino).
Si los “Avá”, hubiesen querido aplicar a la diablesa Añá el adjetivo calificativo que determina su vejez, no le hubieran aplicado el de “tuyá” que , como digo, corresponde a viejo, sino “guaimi” ,que significa vieja. La prueba concluyente de que Aña era femenina, la tenemos en la frase clásica “Aña memby” (insulto máximo de los guaraníes), pues “memby” quiere decir hijo o hija de la madre,no del padre, que es “ra’y” cuando es varón, y “rajy” cuando es mujer.Pero no desfiguremos caprichosamente y a priori , vocablo toponímico “Aña Tuya” y veamos lo que significa en lengua Quechua:Quiere decir zorrino o zorrillo, una especie de zorro, o derivado del mismo.Y precisamente el vocablo Aña, que paso al Quechua del aimará, quiere decir zorro, en esta última lengua (con el acento grave cordillerano).
Y por qué le denominarían “Aña” al zorro los Aimará? Porque el zorro es el más “bandido” de todos los animales carniceros, como es proverbial.Por qué dirían “tuya” (“tuyá”) al zorrino , derivado del zorro?.Por su pelaje ,que le da aspecto de viejo.El zorrino se denomina “yaguané” en Guaraní, y por derivación, se llama tambien “yaguané” al vacuno cuyo pelaje, semeja al zorrino.Aña Tuya, siignifica pues etimológicamente “zorro viejo”, y no diablo viejo, como lo han querido traducir todos los guaranistas que han tratado el tema hasta el presente, aplicando un criterio simplista, y sin tener en cuenta la evolución semántica de las palabras, como casi siempre proceden los que no han profundizado esta materia”.
Dejo al lector sacar sus propias conclusiones que estimo en síntesis coincidirá conmigo en que no hay nada definitivo, ni claro con respecto a la palabra “Aña” debido al tiempo que nos separa con nuestros antepasados y a la utilización y significado actual que los guaranihablantes asignan a tal vocablo.
B)SU IDIOMA

Ahora pasamos a analizar al idioma guaraní, o /-ava ñe’ẽ-/ la otra cara de la moneda, otro pilar de la cultura guaraní, y otro elemento de resistencia a la penetración colonial. A esta porción de nuestra identidad, hoy tratamos de rescatarla en lo posible para contribuir a la mantención de la memoria de los pueblos. Al contrario de lo que pasó con la religión, ignorado y desprecidado, a este segundo elemento de ese monumento inmaterial guaraní, el idioma fue largamente estudiado. Y aun sigue siendo analizado por su extraordinaria riqueza cultural, y modelo de idioma primitivo, que ha resistido durante siglos y permanece intacto en sus líneas esenciales.De paso cabe advertir que su nombre no es “guaraní “ sino “ava ñe’ẽ” o sea el "lenguaje del hombre o lenguaje humano". /-Ava" (el hombre) era el vocablo con que se autodefinían los guaraníes. Pero ya común llmar "guaraní" a la lengua y no a la raza. Razones religiosas, políticas y económicas confluyeron para que se estudiara ampliamente la lengua guaraní .Así aparece en su adulta dimensión cultural y artística como capaz de competir y sentarse con los grandes idiomas del mundo. Pese a más de quinientos años de desprecio,persecución y abandono el guaraní como idioma,como sistema de lenguaje ha resistido al embate de todas esas adversidades y sigue vigente. Prueba de esos embates lo encontramos en la represión lingüística provenientes de los gobiernos tanto coloniales como nacionales y provinciales a través de leyes y ordenanzas. Parece que esta represión y desprecio se acentuó con la seudo emancipación primera. Concretamente encontramos la prohibición en Corrientes, durante el gobierno de Juan Pujol- de hablar en guaraní en las escuelas, amén de otras disposicones “legales” a las que analizaremos más adelante. A ello se agregó el trauma impuesto por el proyecto colonial en muchas familias que no quisieron enseñar guaraní a sus hijos porque eso era “ser guarango” y dificultaba el aprendizaje de la lengua del conquistador, lengua a la que se la denominaba:”karai ñe’ẽ” o sea el “lenguaje de los señores”. En verdad que ambos elementos –religión e idioma- aun se mantienen como brasas bajo cenizas,y están presentes en nuestra cultura cotidiana del Nordeste y en toda la región del Mercosur. O si no cómo se explica hoy las interminables caravanas –por poner un ejemplo-a las tumbas del gaucho Antonio Gil, Apararicio Altamirano o el gaucho Olegario Leiva, Velazquez y Gauna,etc. Es el culto a los “muertos famosos” de que nos habla Ruiz de Montoya como recien transcribimos. Y en cuanto al idioma cómo se explica que aún los más cultos “cate” de nuestra actual sociedad por ahí matizan sus expresiones con algún solitario “anga’ú “ angá” “manté” , ”haité-va” o se despiden con un cálido “chamigo”.
En cuanto al estudio sistemático y concienzudo de esa otra piedra angular, de ese monumento o documento como quiera llamarse que es el guaraní asistimos a tres momentos o periodos históricos de posicionamiento frente a la lengua. Vamos a analizar brevemente a cada uno de esos períodos.

A modo de introducción al tema antes de entrar a analizar cada una de esas tres etapas -quiero aclarar en algo más por qué le llamamos, documento histórico o monumento de naturaleza inmaterial a su cultura, especialmente a su idioma o lengua. . En una palabra en qué radica su valor cultural.Tres elementos encuentro para dimensionar la adultez, fortaleza ,incorruptibilidad y valor cultural del guaraní.
1º)Porque es testigo de la evolución del lenguaje humano en una determinada raza:La guarani. 2º)Porque es de estructura rígida, pese a su elasticidad.
3º)Porque es incorruptible.
Pasamos ahora a analizar cada uno de estos elementos que hacen a su adultez, fortaleza y valor cultural.

1º)Porque es testigo de la evolución del lenguaje humano en una determianda raza aborigen:La guarani.
Ruego se preste especial atención a la frase que acabo de consignar.Sabido es que la humanidad no nació a su condición de “homo sapiens” con un lenguaje determinado.Cada porción de quienes –creación de por medio por supuesto- se separaba de aquel tronco primitivo -si aceptamos elmonogenismo- traía la capacidad para desarrollar su intercomunicación dentro de su grupo.-Y así fue inventada la palabra primero para luego perfeccionarse en una multitud de las mismas que configuraron los idiomas.En el guaraní se conservan aún los distintos pasajes o estadios de esa evolución. Aun perduran vocablos o palabras cuya antigüedad jamás podremos saber –tal vez miles o millones de años -y que fueron las primeras palabras pronunciadas por el hombre como tal sobre la tierra en su condición de “animal racional”. Conforme a la teoría de Tiburcio Alfredo Martínez un goyano que en el 1916 explicitó la teoría de la comunicación en un libro titulado “Orígenes y leyes del Lenguaje –aplicado al Idioma Guaraní”.En esa visión evolutiva –perfeccionada luego por Secundino Ponce de León , un estudioso correntino- existirían cuatro períodos en la adquisición y perfeccionamiento de la lengua guarani. Los mencionamos brevemente ,sin poder profundizar ,a cada uno debido a la escasez de espacio.
a)Periodo ventral – Primera adquisición.En este período habrían aparecido vocablos como “Hu” (negro,espantoso capaz de provocar miedo) cuando el hombre estaba ascendiendo de su condición animal a su status de hombre. “” (fruto, sombras, etc.) sería otro vocablo inicial y milenario y que sería un nominativo unversal de las cosas existentes. De allí derivarían “tatá” (saltanto frente a la alegría de descubrir el fuego) –rememorando al mismo tiempo con gestos ,el ruído del golpetéo de dos piedras entre sí para producir la chispa del ansiado fuego. Moisés Bertoni contestes con Martínez encuentra cerca de 150 palabras en las que entrarían como elemento integrativo el nominativo universal /-â-/. Avati (maiz) –sería “pelo blanco” por apocope de /-áva morotî-/.
Secundino Ponce de León que entendió perfectamente el pensamiento del goyano en prólogo a la obra “Gramática Guaraní” de Juan de Bianchetti perfeccionando la descripción de esa evolución primera de la lengua expresa lo siguiente: “Nuestro incomparable Ava ñe’ẽ ,léxico del hombre primitivo americano (según mi punto de vista) impropiamente denominado “Idioma Guaraní” , se inicia prácticamente , según mi tesis en el primer periodo formativo del lenguaje, con los fonemas ventrales, es decir, los que se emiten sin necesidad de abrir la boca, y a los que se habrían llegado, despues de un largo proceso mental precursor , desde lejanas especies , en los antececesores del hombre, como nos enseña el insigne filólogo correntino, doctor T.Alfredo Martínez, en su monumental obra “Origenes y leyes del Lenguaje ,aplicados al idioma guaraní” (no obstante haber pasado inadvertido para el autor citado,este interesante,importantísimo periodo de los fonemas ventrales, en el proceso formativo del lenguaje)”.
“Dichos fonemas primitivos –verdadero embrión de la palabra –sirven para expresar aun hoy, diversos estados del espíritu, tales como el enojo, el dolor, la sorpresa, la duda, la afirmación categórica, la negativa rotunda,la interrogación, la desconfianza, la alegría, la pena, la burla, la inquietud, la súplica, el fastidio, la ternura, la aflicción, la ira, y ante todo el amor, etc.” .En nota al pie de página en el mencionado prólogo dice Ponce de León :”El empleo de los fonemas ventrales, es común entre los pueblos de origen ava, especialmente entre los guaraníes.Y esta supervivencia, nos está demostrando el remoto origen del Ava Ñe’ê.Los idiomas europeos los han perdido, casi por completo.Pero como son tan expresivos, nos entienden, por igual el chino, el polaco, el italiano, el inglés, el árabe, el egipcio,etc.”
b)Período gutural .Segundo estadio de la evolución. Siguiendo siempre a Tiburcio Martínez –que esto sí explicita -se establece que en este segundo período del guaraní habrían surgido más vocablos.Habrían aparecido un mayor número caracterizado por la pronunciación en la garganta.Así en este período se habría configurado y establecido la /-y-/ a la que actualmente cambiando su naturaleza originaria de expresar un concepto hoy se le ha asignado una función gráfica (letra) de un fonema guaraní como sexta vocal que nada tiene ni tuvo que ver con su origen semántico o sea su significado. Tambien otras palabras habrían aparecido en esta etapa, como /-yvate-/ (arriba), /-yvy-/ (tierra), /-ysyry-/ (arroyo) etc. Como curiosidad consigno que uno de los arroyuelos –hoy entubado y posiblemente obstruido con la constucción de los pilares del actual casino -entre los que se fundó la primitiva ciudad de Corrientes, se llamaba /-Ysyry-/,en la parte sud-oeste,que pasaba por lo que hoy es el Parque /-Kambakua-/.El otro hacia el noreste se llamaba /-arasa-/ (guayabo)-tambien hoy entubado –que posteriormente se llamó Poncho Verde y que la mentalidad neoliberal le ha cambiado por el de Avenida Pujol,que corre bajo esa avenida.
c)Periodo nasal..-Tercera etapa en esta evolución .-Continuando con la evolución –conforme siempre a Martínez- se desemboca en un tercer momento en que se habría aumentado más el número de vocablos.En ellas intervienen más la cavidad nasal en combinación con la garganta antes que la cavidad bucal .-Allí habrían aparecido los conceptos expresados por las vocales nasales y guturo-nasales.No es lo mismo decir “oke” (duerme) que “okẽ” (la puerta).
d)Periodo vocal.- Cuarta y última etapa de la evolución.-Finalmente la evolución del guaraní habría llegado a la característica de los idiomas modernos que es la pronunciación en la cavidad bucal. Las palabras se habrían multiplicados y así asistimos a un guaraní que estaba mucho más evolucionado y perfecto que el castellano cuando llegaron los españoles con su “romance”. Su única desventaja radicaba en no poseer aun una escritura,que recien nacía tal como se ha descubierto últimamente en las selvas amazónicas entre los últimos hallazgos de la antropología cultural.

2º)Porque es de estructura rígida pese a su elasticidad.
Ahora pasamos a analizar el segundo elemento de por qué le llamamos documento o monumento inmaterial o espiritual.El enunciado de este título nos habla de la esctructura del guaraní, que ha resistido y sobrevivido a más de quinientos años de desprecio social y marginación.-Hablar en guaraní era y sigue siendo ser un “guarango” , un mencho, un tape o ava.
Dice Moisés Bertoni en su libro :”La lengua Guaraní como documento Histórico “ lo siguiente:”...La rigidez de su mecanismo es extrema y su plasticidad es tan poca que durante una larga serie de siglos , de miles de años tal vez, tribus separadas por mil leguas de desierto y sin comunicarse entre ellas, hablan aún el mismo idioma, con diferencias que en Europa se consideran provincialismos, y eso a pesar de la falta completa de literatura”...-A continuación señala algunas pequeñas diferencias entre tribus que distaban miles de kilómetros unas de otras y dice : “Así el Tupinambá dice “Kue-sé” (ayer) el Avamby’á “kue’é” y el paraguayo moderno “kue-hé”.....El Tupinambá “sesá” en lugar de “Tesa´” (el ojo) ; “Y-sakú “ en lugar de Y-takú” (agua caliente)etc.
Estos pocos ejemplos hablan de la rigidez de su estructura y está señalando la presencia de raices inamovibles, de prefijjos y sufijos inalterables de tiempos lejanos e inmemoriables. De allí su carácter de aglutinante y polisintético.-No es lo mismo que yo diga /-Che aguata-/ (yo camino ) que /-Che amboguata-/ (yo hago caminar) o /-Che aguatase-/ (Yo quiero caminar). Ese carácter le adjudica la elasticidad para adaptarse a las diversas circunstancias y situaciones de la vida cotidiana.

3º)Porque es incorruptible
.Finalmente entramos a analizar al tercer elemento de ese monumento que es su incorruptibilidad.-Desaparece vocablos o el idioma mismo pero no se corrompe.-Muere de pie como los árboles milenarios bajo cuyas sombras hablaron ,cantaron ,amaron y rezaron danzando al son de las marakas o expresaron su amor en guaraní, durante milenios antes de la llegada de los conquistadores y destructores que solo vieron “borracheras y lujurias” en sus cantos y danzas rituales.

-I- Primera época de los estudios del guaraní:Los jesuitas
Luego de ver brevemente la descripción del valor cultural y antropológico del guarani, ahora por razones de falta de espacio y tiempo pasamos a analizar solamente al primer periodo de los estudios del idoma guaraní luego de la conquista. Despues pasamos directamente a la era de la emancipación americana.
Etapa de los jesuitas. Siglos XVI y XVII-Sentados los principios de su testificación sobre la evolución del lenguaje de la raza, sobre su rigidez, elasticidad e incorruptibilidad, tendríamos que analizar a cada una de las etapas desde 1492 a la fecha en el estudio del idioma guaraní.Ya dijimos que razones ante todo religiosas indujeron a los jesuitas a estudiar el guaraní. Naturalmente no eran linguistas ni grandes gramáticólogos por lo cual aplicaron al recien descubierto lenguaje las reglas gramaticales del griego y del latín. En esta primera etapa basta recordar los nombres de Restivo, Fray luis de Bolaños, Anchieta, Figueira y ante todo Antonio Ruiz de Montoya. Estos misioneros luego de haber llegado a un conocimiento práctico del idioma, consignaron por escrito las palabras que recogían directamente del labio de los guaraníes.-Las coordenaron y nos dejaron los primeros vocabularios como los mejores documentos del pasado.-Hay un detalle a tener en cuenta.-La primera gramática castellana es de 1492, escrito por Antonio de Lebrija.-Pero faltaban los vocabularios y diccionarios castellanos que recien vieron la luz en 1611 y 1726 con Sebastián de Covarrubias. En cambio la primera gramática guaraní sale a luz en 1595, escrita por José de Anchieta en portugues..-El primer “Diccionario guaraní “ escrito por el padre Velazquez sale en 1624.-Ese mismo año sale “Vocabulario de la lengua guaraní” hecho por Alonso de Aragón.En 1639 se edita la grandiosa obra titulado :”El arte de la lengua guaraní” de Antonio Ruiz de Montoya, de influencia decisiva en los estudios del guaraní. Se compone de cuatro volúmenes compuesto por :1º)La gramática, 2º)Diccionario ,3º)Tesoro de la lengua guaraní y 4º)La doctrina cristiana en guaraní.Esta misma obra es reeditada en los talleres gráficos de Santa María la Mayor en Misiones por Pablo Restivo en 1724, sosteniendo que el guaraní es “indeclinable”.
Estos pocos datos evidencian que el guaraní estaba más evolucionado que el castellano.-Pero lo frenó el desprecio la persecución, la prohibición de hablarlo y el abandono .Porque cultivarlo significaba una muralla al proyecto colonial como hemos visto ,y en consecuencia se llegó hasta prohibirlo y penalizar su utilización. Por razones de espacio salteamos varios siglos durante la colonia, y aterrizamos en la era de la emancipación americana cuyo bicentenario estamos viviendo en el presente año.

-II-La comunidad que lo habló y quienes lo hablan todavía:El correntino
Al decir “guaraní” me refiero a su versión correntina, que guste o no ,es distinta del guaraní paraguayo y de otras versiones dialectales habladas en Bolivia, Brasil,Uruguay,Venezuela,etc. Como "guaraní paraguayo" se conoce a la variedad dialectal del guaraní que la gran mayoría de la Nación Paraguaya, ha heredado tambien de las Misiones Jesuíticas y por diversas razones sociales y ante todo políticas ha llegado a su configuración actual. Por razones de espacio y teniendo en cuenta la naturaleza de esta ponencia no podemos exterdernos en profundizar las diferencias que lo acercan y a la vez separan del guaraní correntino. Del análisis pormenorizado de ambas versiones, que en parte yo lo realizo en mi gramática “Ava ñe’e” , surge una lista larga de coincidencias y semejanzas, y al mismo tiempo diferencias profundas entre ambas versiones.Seria muy largo enumerar todas y cada una de tales diferencias y coincidencias. Tratando de resumirlas diremos que constatamos en ambas versiones dialectales un primer punto que es la de responder a un origen comun, una fuente ,un tronco comun que fue el guarani hablado por los primitivos dueños de estas tierras, antes de la llegada de los conquistadores. Pero fue distinto el rumbo del destino de ambos pueblos actuales ,correntino y paraguayo, debido al reparto politico artificial que los invasores hicieron del cono sur de América, apoyados en la Cruz y la Espada. No analizo ni aludo a las otras versiones del guaraní como las habladas en Venezuela, Brasil, Uruguay, Bolivia ,etc.porque no las conozco en profundidad. Lo cierto es las posesiones territoriales en América del Sur fijaban la Corona y el Papado (que por lo menos como árbitro debía aprobar).Desde el comienzo se adjudicaron a naciones y personas de diversas mentalidades y ambiciones, en un tira y afloje entre los dos grandes imperios autotitulados y autoadjudicados dueños, el lusitano y el español, por el solo hecho de haber llegado primeros, concretados en los gobiernos de Buenos Aires, Asunción, y San Pablo. Cada ciudad, Buenos Aires, Asunción y San Pablo, dió origen luego a naciones distintas, dividiendo a la gran nación guaraní, quien sufrió no solo el desmembramiento de su hábitat y su población sino ante todo su "Tekoha" (democracia real) acusó el impacto diferenciado de políticas educativas neoliberales que llevaron a conformar idiosincracias distintas con profundas influencias en la parte linguistica del guaraní-hablante. El gran Tekoha de más de tres mil años de los guaraníes se desplomo.Y ahí está la gran diferencia entre el guaraní, correntino y el paraguayo, sin desmerecer tambien las otras versiones existentes en Venezuela, Brasil, Uruguay y ante Bolivia, versiones diaalectales de las que no hablo pues no las conozco en profundidad. Son mentalidades distintas las que hoy subyacen en estas versiones, y se traduce en la forma distinta de hablar. Rebasa los límites autoimpuestos a este trabajo señalar todas y cada una de tales diferencias. En síntesis hay una diferencia externa,visible y constatable entre los distintos modos de hablar, y que se visualiza en la utilización de vocablos, diversas construcciones del discurso oral, giros variados y diversificados en refranes y dichos.etc. , y otra diferencia síquica interna, invisible que se refiere al modo distinto de pensar, de una cosmovisión distinta, de otra mentalidad, que aunque responden a la utilización de un pasado hablar común el transcurso del tiempo y la influencia del castellano invasor han sido determinantes para la formación de los modos diferenciados de expresarse.Tratar de unificar a todas las versiones versiones, enseñando indistintamente un guaraní paraguayo en Corrientes, o viceversa, un guaraní correntino en Paraguay, o en otros paises, sería una utopía y luchar contra molinos de vientos que solo traerá confusión, mayor aun a la ya existente.
A propósito del /-jopara-/ o /-Jehe'a-/ o como quiera llamarse un fenómeno observable en todas esas versiones existentes en las diversas naciones nombradas, otra verdad se constata. No es cierto que el guaraní, en Paraguay se habla bien y en Corrientes,(y en otras naciones) mal. Eso es soñar y creer en una utopía que es la existencia de un guaraní puro. El guaraní primitivo puro –aunque es cierto que estaba más evolucionado que el castellano a la llegada de los invasores- ya pasó a ser ahora solo un mito.Tanto los paraguayos como los correntinos y otros guaranihablantes hablan hoy un guaraní diferenciado, llamémoslo /-jopara-/ o /-jehe'a-/ provisoriamente en todos los casos, pero no me animo a calificarlos de “buenos” o “malos” a ninguna de estas versiones. Son diferentes pero escapan al calificativo de “buenos” o “malos” pues todos han sido profundamente influenciados por el castellano en foma distinta, debido como ya señalamos, no solo lo que en el reparto político de los invasores les tocó en suerte a la gran nación guarani, sino ante todo en cuanto a la educación y política linguística implementada hacia el guaraní , tanto en Paraguay como en Argentina y en otros paises. Pero estas versiones configuradas han servido y sirven aun hoy para la intercomunicación del pueblo –correntino, paraguayo, boliviano, venezolano, brasileño, uruguayos, etc.con aciertos y yerros tal vez desde el punto de vista académico, pero útiles y laudables como hechos y fenómenos sociales. Ya dijimos un guaraní puro, tal como hablaban los primitivos dueños de estas tierras ya no existe y pretender volver a ello ,ya no solo es un mito y una utopía sino que ya es imposible. Se habla tan bien o tan mal en ambas orillas si es que nos atrevemos a entrar a darles calificativos.. Cada versión, llamémosla –j/-jopara-/,/-jehe'a-/ o como se quiera - con sus defectos y virtudes, no deberá desecharse sino purificarla, y enriquecerla en lo posible para enfrentar a un mundo globalizado, si quiere subsistir y competir en la política, en la economía y en lo social. En el Paraguay siempre existió un mayor aprecio y arraigo en la población, mientras desde las esferas de la oligarquía fue ignorado e inclusive hoy se habla de un “Aparteid linguístico”. Aunque en 1992 fue incluido en la Constitución paraguaya como lengua oficial, sin embargo en los hechos y en la práctica del funcionamiento del Estado, siguió ignorado.Hoy bajo un gobierno nuevo paraguayo existe mucha espectativa para su reivindicación.Se espera a la brevedad una ley de lenguas.
Tambien el guarani correntino luego de la ley 5598/04 espera su implementación práctica, comenzando con una reglamentación. Pero su suerte fue diversa : abandonado, perseguido y vilipendiado ,despreciado, fue y es sinónimo de exclusión social. Su adultez y fortaleza histórica de idioma perfecto sin embargo no ha perdido.
Fue el hablado y vivido en las Misiones Jesuíticas y luego en la época de la emancipación, por aquellos que lanza en ristra –junto a Andresito Guacurari, Ignacio Mbaibé ,Vicente Tiraparé, Blas Uré, Cayre, Abiaró y otros defendieron nuestras fronteras contra la ambición voraz del Imperio Lusitano y el Español, el centralismo porteño y las invasiones oportunistas de Asunción; que pese a la escasez de medios – sin armas y sin alimentos -con ideas claras sobre el federalismo y la emancipación americana –liderado por Jose Gervasio Artigas- sembraron sus huesos y regaron con su sangre este territorio correntino, que lideraba ya entonces las ansias de libertad y autodeterminación de los pueblos de América Latina. Los guaraníes –rememorando su antiguo “tekoha” - una nación sin estado -y luego sus cabildos durante la colonia –sin olvidarnos de los antecedentes comuneros –murieron en las montoneras, libres pero no esclavos- con la ilusión de ser independientes. Esa era la comunidad que hablaba y expresaba su coraje en las batallas en guaraní al grito de “Jajereraha kuaha katu,añamemby” –seguido de un fuerte /-sapukái-/, y que fuera admirada por sus propios enemigos que los subestimaban. Así recordamos a Chagas dos Santos – cuando afirmó que solo era cuestión de “llegar ver y vencer” –queriendo repetir la hazaña del romano Julio César , /-veni,vidi,vinci-/ (vine,vi y venci-/ al atacar los pueblos guaraníes orientales de las Misiones , ellos mismos portugueses invasores -reconocieron luego que solo debieron conformarse con ”llegar, ver y volver”. Esta feroz resistencia guaranítica salvó a los pueblos occidentales de aquende el rio Uruguay, como La Cruz, Alvear, Santo Tome y Yapeyú, (hoy pueblos correntinos)fueran argentinos, quedando con dolor –y no sin heróicas luchas - en manos portuguesas los pueblos de las Misiones Orientales como San Borja, San Nicolás,San Miguel, y otros.- Los guaraníes, al ser vencidos -se dispersaron y poblaron nuestro territorio correntino, especialmente la parte norte y oeste del Yvera, a la que en mi gramática la identifico como zona noroccidental, donde se habla aun en mayor escala el “Ava ñe’ẽ”.- Es el resto de esa comunidad de las luchas heróicas, el que queda aun en esta zona noroccidenteal, la que mantiene aun a niños que desde su cuna hablan sólo guaraní y a la que apunta hoy el rescate de la lengua para la realización del bilinguismo con la aplicación de la ley 5598/04. Pero los gobiernos correntinos actuales miran a otra lado y estiran su cuello para mirar más allá del Océano y así ahora han implantado el inglés en las aulas primarias olvidando y despreciando a aquellos niños que viene desde su cuna con su solo guaraní como idioma materno.
No puedo dejar pasar por alto este ajustadísmo diagnóstico que da la antropóloga Carolina Gandulfo sobre el guaraní y el correntino - en su reciente libro “Entiendo pero no hablo”, estudio realizado en el paraje “Lomas de González” del departamento de San Luis del Palmar, perteneciente a la zona noroccidental de Corrientes. En la pág.42 y siguiente dice así: “La definición usual de la lengua guaraní como indígena está basada en la suposición de que una lengua se define por la población originaria y actual –en la mayoría de los casos-que la habla:Los guaraníes.Asimismo, el concepto de indígena supone que un grupo social es marcado y se marca a sí mismo como tal,y utiliza,por ejemplo, la lengua que habla como un diacrítico de su adscripción identitaria , que apoyándose en este tipo de características, se define como indígena.No se puede separar entonces el desarrollo , siempre social ,de una lengua del de los hablantes”.
“Nos encontramos aquí –sigue Gandulfo – con un punto clave acerca de la definición étnica de los hablantes de guaraní en Corrientes.No son indígenas que hablan una lengua vernácula.Podríamos caer en la trampa de esencializar la lengua y pensarla desvinculada de los hablantes.Situación que desde la lingüística de tradición estructuralista sería lo esperable...A partir de este enfoque, se supone que la lengua pouede ser estudiada o desarrollada aisladamente de sus usuarios...Entonces el guaraní podría ser una lengua indígena, independientemente de quién o cómo se definieran los que la hablaran..”.Ya hemos sentado que no se puede estudiar una lengua independientemente sus hablantes.
Pero, si los hablantes de guaraní en Corrientes no son indígenas entonces: “ Otra posibilidad –sigue Carolina Gandulfo -es plantear que el guaraní es una lengua indígena hablada por la población criolla (Censabella,1999:52). Pero si quienes la hablan –en este caso los correntinos –no se definen ni como indígenas ni como criollos, nos encontramos frente a un punto que no debemos saltar...”.
Entonces ¿quiénes son sus hablantes?.Nuevamente Carolina Gandulfo nos responde diciendo : “Los hablantes de guaraní con los cuales nos encontraremos en esta investigación se definen a sí mismos como “Correntinos”, y a su vez son llamados así por quienes no lo son. Ser correntino supone en primer lugar haber nacido en la Provincia .Esta marca establecerá sin duda quién es o no correntino.Aun quien hace muvhos años que reside en la provincia no podrá ser “correntino de verdad”. En el mejor de los casos se podrá “acorrentinar” y adapatarse al estilo de vida correntino.Y aquel que ha nacido en la provincia , sigue siendo correntino, aunque hiciera muchos años que reside en otra parte del pais o el exterior".
“No hay duda de que, a partir de las observaciones y entrevistas realizadas, hay una correlación muy estrecha entre hablar guaraní y ser correntino.Incluso veremos cómo esta correlación por momentos se torna una marca casi indeleble y una barrera que no se puede atravesar (ni salir ,ni entrar).No se concebiría entonces como una marca de la cultura o étnica,sino casi como una marca de la naturaleza, tal como se define en los enfoques primordialistas en el marco de los estudios étnicos.Nos encontraríamos frente a una etnicización de la provincia o del Estado a nivel provincial. Aquí la etnicidad se piensa en tanto “dada” , se tiende a una construcción de lo percibido como dado.Los vínculos o lazos primordiales , “lo que se toma como dado en la existencia social, es decir,lazos anclados en nociones como la de raza, lengua, costumbres, religión, o región..(Briones 1998), son los elementos que se utilizan para pensar la etnicidad. El guaraní, entonces, podría ser un vínculo primordial que uniría a los correntinos convirtiéndose en un núcleo central de la correntinidad...”.
Invalorable el diagnóstico de mi amiga Carolina Gandulfo sobre el guaraní y el ser correntino.
Pero volviendo al idioma guaraní –como objeto de enseñanza- anotamos otra de sus carracterísticas, es el de ser ágrafo, es decir carente de grafía, según dijimos más arriba. Carente de signos convencionales representativos de su amplia gama de fonemas, ha perdido y sigue perdiendo una determinada comunidad que lo hable, ausente en la jerga política o la economía actual, en parte por cobardía de quienes lo hablan aun ;carece de bibliografía ,en su estado actual correntino. Lo contrario sucede en el vecino Paraguay que posee una comunidad determinada, precisa, estable y ubicable, que lo habla, goza de una abundante bibliografía y se sigue estudiando dado su carácter de lengua oficial alternativo con rango consitucional de la Nación. Nosotros estamos en los prologómneos del rescate del guaraní para poder cultivarlo y conservarlo con el agravante de que quienes tuvieron en la reciente Convención Reformadora Constituyente, la posibilidad de elevarlo a rango constitucional le dieron la espalda y nada dijeron.Darán cuenta ante la sociedad y la historia de esta imperdonable omisión. Su existencia objetiva, por pertenecer a una cultura ágrafa, hoy por hoy se reduce, a innumerables correntinos que lo conservan en su mente, en su habla y en sus corazones dispersos en el territorio nacional, sin comunidad determinada, ubicable, precisa y estable. Se habla aun en vastas zonas rurales y en los suburbios de las grandes ciudades como Corrientes, Resistencia, Rosario y el Gran Buenos Aires. Primero hay que correr allí a buscarlo, es decir al aporte verbal, de correntinos guaraní-hablantes. Otra fuente de información no poseemos. Allí hay que acudir para obtener un “corpus “ -al que luego hay que estandarisar- del guaraní correntino actual, trabajo que ni siquiera se ha empezado.Para ello deberá tenerse muy encuenta su condición de porción de una cultura ágrafa como dejamos ya sentado más arriba y aplicar las técnicas adecuadas de la investigación social.
Allí entra a jugar mi primer libro al que he bautizado como “Ava ñe’ẽ” –lenguaje humano -ensayo de gramática estructural sobre Taragui ha Paraguái ñe’ẽ” y pretende ser un testigo de cómo se hablaba en Corrientes en las postrimerías del siglo 20 y comienzos del 21. Es la primera obra en su género que compara el guaraní correntino y el paraguayo, único en su género en Corrientes y en el pais. Necesariamente tuve que recurrir a los estudios existentes sobre la grafía y fonética, que se remontan a la era jesuítica, pero que solamente se encuentran en el Paraguay, en lo que haya de común en ambas versiones. Al respecto en el estudio de la lengua guaraní hubo durante estos cinco siglos, diversas y variadas épocas, a las que las tengo explicitadas un poco más arriba al referirme a las distintas épocas y periodos en el estudio de la lengua guaraní a partir de la era jesuítica. Aquí aludimos solamente al periodo actual, aunque repetimos conceptos ya expresados, pues me parece muy importante insistir sobre esto.

-III-Algo de su historia reciente
Desde mediados del siglo diecinueve, y durante el siglo veinte asistimos a un despertar en el aprecio y el estudio serio y metódico-científico del guaraní en nuestra provincia. “El guaraní –dice Tiburcio Alfredo Martínez un abogado correntino goyano en 1916– en su monumental obra “Origenes y leyes del lenguaje aplicado al idioma guaraní” -es algo más que un idioma, es un sistema filológico”. “Es uno de los más curiosos idiomas conocidos, porque ha conservado y presenta íntegra, por lo menos en sus rasgos fundamentales, toda la evolución del lenguaje de la raza, desde su primer palabra.Y es en esta su conservación íntegra, a través de los siglos, de sus partes constitutivas esenciales, donde está la que llamo fijeza de la lengua y su incorruptibilidad ,cualidades no absolutas, pero poseídas de una manera cuando menos notable”. (Op.cit.pág. Ed.1994).
Junto a la lista de antropólogos como León Kadogan, Nimuendajú, Moisés Bertoni, Branislava Susnik, y otros en lo que respecta al Paraguay. Junto a ellos tambien desfilan nombres ilustres de estudiosos en Corrientes como Tiburcio Alfredo Martínez –cuya obra acabamos de citar más arriba y que conoció la segunda edición recién en 1994, –Saturnino Muniagurria, Wenceslao Domíguez, Juan de Bianchetti,José Miguel Irigoyen, Toribio Lezcano,Máximo Dacunda Diaz y otros más recientes, que han contribuido a salir poco a poco del olvido al guaraní y cuya culminación ha sido la sanción de la ley provincial Nº 5598/04.

-IV- Su situación actual: Ley 5598/04 y sus antecedentes
Hoy siglo veintiuno asistimos a un despertar en Corrientes en cuanto al aprecio y estudio del guaraní..En tal sentido quiero señalar tres acontecimientos recientes.El primero se refiere al Congreso Internacional del Guaraní realizado durante los días 12 y 13 de noviembre del 2004 en el recinto de la Honorable Cámara de la Legislatura y que contó con la activa participación de numerosas figuras estudiosas de la cultura guaraní correntina. Muchas fueron las conclusiones a las que arribó el Congreso que por razones de espacio y tiempo no las podemos reproducir en el presente trabajo.-Como lengua oficial alternativa consagrada por ley queda en manos de las autoridades su implementación.- Concretamente será incumbencia del Ministerio de Educación y no podrá eludir su responsabilidad política e histórica el gobierno imperante durante el año 2007,-porque tuvo mayoría absoluta en la Convención Constituyente -cuando se remozó la Constitución Provincial. En efecto se produjo un hecho lamentable pues el nuevo texto aprobado no dice una sola palabra explícita sobre la lengua guaraní, perdiéndose así la oportunidad histórica de adquirir rango constitucional. Parece que los constituyentes no fueron ni eran correntinos pues dieron la espalda a la cultura e idiosincracia del pueblo que los había elegido. Con mucho esfuerzo y buena voluntad podemos encontrar una alusión implícita y velada al guaraní en el art. 204. Nada más.
El segundo acontecimiento se refiere a que la nueva Constitución remozada en el año 2007 ha sido trraducida al guaraní, trabajo que fuera encomendado al doctor Silvio M.Liuzzi y a quien escribe este libro. El doctor Silvio M.Liuzzi, expulsado del pais en 1978 –luego de estar dos años preso por la dictadura militar por el solo hecho de no aceptar las muertes y torturas de miles de argentinos- se doctoró en la Sorbona sobre guaraní y vino en el 2007 expresamente para realizar juntamente conmigo la tarea de la traducción por pedido de la misma convención constituyente y la mediación del doctor Walter Insaurralde ,autor de la ley 5598/04.-La traducción finalizada en el mes de Agosto/07, fue entregada a la Cámara de Diputados para su impresión y distribución.parece que solo recibieron los ejemplares originales porque la distribución no llegó nunca a la población.
En cuanto al tercer acontecimiento, sobre el que nos vamos a detenernos más , está referido a la sanción de la Ley 5598/04 aprobada por el Parlamento Correntino y promulgada en forma íntegra por el Poder Ejecutivo. La citada ley establece el “guaraní como idioma oficial alternativo de la Provincia de Corrientes”. Previamente veamos los antecedentes remotos y los inmediatos de esta norma.

a)Antecedentes remotos de la ley Provincial 5598/04
La ley Federal de Educación Nº 24.195/93, y la reforma de la Constitución Nacional de 1994, en el orden nacional, en términos generales hacen un reconocimiento de las diversidades culturales y regionales.Mientras la ley Federal de Educación reconoce a las diferencias e identidades regionales como factores de conformación de la Nación, la constitución de 1994, en su artículo 5º, independientmente de otra consideración sobre sus otros contenidos, en lo que a política de rescate de los valores vernáculos se refiere, haciéndose eco de la tendencia universal imperante, dispone que :"El estado nacional deberá fijar los lineamientos de la política educativa respetando los siguientes derechos, principios y criterios: a)El fortalecimiento de la identidad nacional atendiendo a las idiosincracias locales, provinciales y regionales..” (Art.5º-CN 1994).
En relación a Corrientes con mucha buena voluntad –según ya hemos anticipado -podemos encontrar a la Constitución Provincial remozada el año 2007, en la línea del rescate de los valores vernáculos cuando en su art.204 dispone, como uno de los principios que debe regir la educación ,diciendo :”...La afirmación de la identidad provincial a través de la lengua, tradiciones y costumbres...” Pero qué costaba decir “lengua guaraní “ en ese artículo, para tener una alusión explícita y elevar al rango constitucional a este idioma ancestral vigente aun. Pero no se dijo y los responsables ante la sociedad y la historia serán aquellos constituyentes que le dieron la espalda y se opusieron a una alusión explícita.El pueblo debe tener memoria y aquellos que así procedieron aun están entre nosotros.
No obstante lo dicho, en Corrientes los que marchan junto a la historia y no de espalda a ella, no escapa a la tendencia internacional del reconocimiento de la “diversidad” cultural y al rescate de las lenguas vernáculas. En lo que respecta a la provincia, aparecen numerosos estudios particulares, desde mediados del siglo diecinueve, y durante el siglo veinte asistimos a un despertar en el aprecio y el estudio serio y metódico- científico del guaraní.
Hoy está de moda hablar de guaraní, y en Corrientes desde el Ministerio de Educación aunque se ha lanzado oficialmente el plan de implementación del guaraní en los niveles de enseñanza en virtud de la disposición de la ley 5598/04, nada concreto aun se palpa. Muchos creen –entre los que se cuentan e inscriben funcionarios y estudiosos de la lengua –que el guaraní en nuestra provincia, considerándola como lengua a ser enseñada, ni pensar aun como lengua con qué enseñar, –está ahí al alcance como un objeto accesible a cualquier interesado; que basta extender la mano para asirla, manipularla, y transmitirla al igual que cualquier otra ciencia, u otro idioma, como puede ser el portugués, el castellano, el inglés , el francés ,etc.- Pero la verdad no es así, ni es tan simple la situación. En efecto el castellano, el inglés o el portugués –además de estar en el habla cotidiana de determinadas comunidades –se lo encuentra en las ondas radiales o televisivas, en la prensa, en los libros, en grabaciones, en CD etc.pero ante todo posee una comunidad que las habla y una autoridad académica que admite o rechaza, o sea vela por su perfeccionamiento, conservación y pureza como puede una Real Academia de la Lengua Española.Quiero significar que tales lenguas están ahí con sus leyes, sus formas, su riqueza, y tambien sus limitaciones, como objeto accesible, y controlado al alcance de quienes quieran conocerlas y hablarlas con mayor perfección.
Pero en el caso del guaraní nos hallamos ante otro fenómeno. Pertenece a una cultura ágrafa, es decir, no poseyó ni posee aun, una grafía uniforme creada ni tampoco adoptada. Al carecer de escritura, situación que la ubica entre las culturas, donde la creación, conservación y desarrollo obedece a cánones y leyes diferentes a la que se utiliza en las culturas donde existe una grafía. Preferentemente en la cultura ágrafa la fuente de conservación es la memoria colectiva y la transmisión es oral. El estudio de estas culturas ágrafas se ha empezado a desarrollar como teoría científica a partir de los años 30 del siglo pasado, específicamente a partir del trabajo de un lingüista estadounidense –Milman Parry (1902-1935) .Luego de este trabajo fueron apareciendo muchos otros que iban profundizando el estudio de la oralidad desde distintas facetas, hasta llegar a consolidarse como teoría y comprobar que existe una mentalidad diferenciada entre una cultura que no conoce la escritura y las otras que sí están dominadas por ella. A partir de esta premisa se sostiene que las culturas orales o ágrafas crean, almacenan y transmiten conocimientos valiéndose solo de la memoria y no disponen de un lugar fuera de la mente para conservarlos, mientras que las culturas que tienen acceso a la escritura lo hacen con ayuda de esta tecnología, que les permite “guardar” los conocimientos en la página escrita de un libro y ahí los contienen, siempre disponibles para ser releidos cuantas veces sea necesario.Piénsese en las bibliotecas, en los archivos oficiales y en los libros de textos de las instituciones educativas.Piénsese además ahora en los archivos electrónicos, donde se almacenan bibliotecas enteras,sea en CD, en Pent-Drive ,diskete y otros inventos-Esta diferencia tecnológica determina que los “ñe’ẽnga” –o dichos populares en guaraní -por ejemplo- adquieran valores distintos por ser de una cultura de condición predominantemente oral, como es el yopara correntino de nivel popular.En esta cultura los “ñe’ẽnga” o proverbios y dichos populares antes que meros adornos del lenguaje, como podría ser en el Quijote de Cervantes los dichos de Sancho Panza, pasan a ser la esencia y la sustancia misma del pensamiento en una cultura. De ahí su fundamental importancia, en conservarlos y prestarles atención. En efecto, más que adornos del lenguaje, implican una forma de vida, un modo de ver la realidad, una cosmovisión, y por ende una manera de actuar frente a esa realidad circundante.

b)Antecedentes inmediatos de la ley 5598/04.
Durante el gobierno del Partido Liberal–de mentalidad neo-liberal político y económico aunque se profese católico - en 1990 el Ministerio de Educación y Cultura se dictó la Resolución Nº 604 del 28 de Febrero que textualmente decía así:
“VISTO: La necesidad de incluir la enseñanza del Idioma Guarani en la formación integral de los docentes de nivel primario y el expte. Nº 320 –0289 ; y
CONSIDERANDO : Que el gobierno de la provincia tiene el imperativo ético de preservar y garantizar la permanencia del Idioma Guaraní , fuente y principal vehículo de la cultura autóctona Americana, heredada por el pueblo correntino;
Que para Corrientes el Guaraní no es un idioma extranjero ,sino propio,que conforma la idiosincracia de nuestro pueblo y en él están impresas nuestras ideas, sentimientos y pensamientos tradicionales que debemos conservar;
Que en muchas escuelas rurales ,niños guaraní-parlantes concurren a ellas pensando en guaraní y se encuentran con docentes que no saben el idioma ni lo comprenden a él como a persona,
Que el maestro debe comprender a esos educandos y ser el puente entre el guaraní y el castellano;
Que actualmente la Provincia no dispone de personal docente capacitado en el idioma guaraní;
Que es política de este Gobierno la adopción de medidas que contribuyan al mejoramiento de la calidad de vida de los habitantes y arraiguen a la juventud en su propio medio;
POR ELLO:
Que atento a la opinión vertida por las Direcciones Generales de Planeamiento y Educación y de Enseñanza Media y Superior,
LA SEÑORA MINISTRO DE EDUCACION Y CULTURA
RESUELVE:
Art.1º:Incorpórase , a partir del ciclo lectivo de 1990, en el Plan de Estudios de la Carrera de Formación Docente del Instituto Superior de Capacitación Docente Nº 1,dependiente de la Educación Media y Superior, en todas las secciones del 1er.año, la enseñanza del Idioma Guaraní.-
Art.2º:Establecer que la enseñanza del idioma mencionado se ajusten en primer año, a los lienamientosd generales que figuran como Anexo en la presente Resolución.
Art.3º -REGISTRESE ,comuníquese, líbrense copias adonde corresnponda y pase a las Direcciones Generales de Enseñanza Media y Superior y de Planeamiento e Investigación Educativa, a sus efectos”. Firmaba la Ministra
En virtud de este antecedente legal, ejercí la docencia del guaraní, durante cuatro años desde 1992 a 1996 en el Instituto de Capacitación Docente Nº 1 de Corrientes. Hoy gracias al trabajo constante y metódico de muchos estudiosos y entusiastas sobre la necesidad de implementar el guaraní a nivel oficial de la educación y enseñanaza, en el año 2004 tenemos la sanción de la ley 5598/04 que pasamos a analizar en los items c) y d).

c)El proyecto de la ley 5598/04.
Entre los fundamentos de elevación del proyecto de la Ley Nº 5598/04 hecho por el doctor Walter Insaurralde, y sus asesores el doctor Guillermo Meisner y el profesor Carlos Fernández a la Honorable Cámara de Diputados se expresa lo siguiente. “Es una afirmación incontrastable que la lengua vernácula de la provincia de Corrientes es el guaraní.- En el segundo encuentro de Escritores Correntinos y Valencianos realizado en la ciudad de Valencia en Octubre del 2000, en el marco del hermanamiento cultural, firmado por quince entidades correntinas y otras tantas valencianas, el día 3 de mayo del mismo año,se aprobó por unanimidad solicitar a las autoridades de la Provincia de Corrientes, la oficialización de la lengua Guaraní su protección y promoción , del mismo modo que Valencia lo hiciera con el idioma valenciano”.
“Los idiomas –continúa diciendo el proyecto – se conforman en un largo proceso de observación y reflexión y el guaraní es una muestra de ello, habiendo llevado siglos la construcción de esta lengua de la que el Padre Lozano de la Compañía de Jesús dijera que :” ...es de las más copiosas y elegantes que conoce el orbe”.
“La lengua guaraní ,heredada de la etnia autóctona precolombina resistió a los 510 años de conquista, manteniéndose viva en casi todo el territorio de la provincia, es un patrimonio cultural que,por ser parte esencial de la identidad del pueblo correntino, debe ser protegido y promocionado para evitar su desaparición.”
“El guaranista Doctor Benjamín T.Solari, hace elogio de la lengua guaraní expresando :”El guaraní ,por su riqueza de voces onomatopéyicas, es superior a algunos idiomas actuales, expresivo y exacto, parece que fuera un elemento de su medio, la Naturaleza.-La eufonía de sus voces, la fácil expresión de los estados del espíritu y la interpretación encerrada etimológicamente en sus vocablos que designan un dinamismo corporal humano, denotan su estructura orgánica, inaccesible para otros idiomas primitivos”.
“El historiador Bartolomé Mitre –pese a su mentalidad liberal y por ende hostil a lo autóctono -relaciona la lengua con la identidad de la raza diciendo de ella:”El guaraní lleva impreso en sí el sello auténtico de una lengua autóctona, expresada y escrita en la geografía del vasto territorio que abraza.-Este fenómeno etnológico y filológico,por su extensión geográfica, por su unidad gramatical,por su extensión lexicológica y por su identidad de raza,presenta el conjunto más lógico y más armónico que se conozca en las naciones aborígenes y lenguas americanas”.
“El sabio Florentino Ameghino con experiencias y estudios arqueológicos y paleontológicos, sostuvo sus comprobaciones en el Rio de la Plata y sus adyacencias de la costa atlántica ,Delta del Paraná e interior del norte de la provincia de Buenos Aires,que los primitivos pobladores del Plata y sus influencias hacia el norte,eran hijos de la tierra americana y no pertenecían a otros lugares del mundo,lo que se sigue comprobando con nuevos hallazgos de cementerios guaraníes”.-
Que durante el Via Crucis de la Semana Santa del año 2002 el Papa Juan Pablo II rezó para el mundo el Credo en lengua guaraní, y en la Navidad del año 2007 saludó en guaraní a toda la humanidad el papa Benedicto XVI. Esto significa el reconocimiento del Guaraní como lengua capaz de expresar la espiritualidad de este pueblo, puesta de manifiesto durante la visita del Papa a Corrientes.

d) La ley Nº 5598/04.
“Por todo ello - concluye el documento – Ley 5598.El Honorable Senado y la Honorable Cámara de Diputados de la Provincia ,sancionan con fuerza de LEY .-
Art.1º.-Establécese el guaraní como idioma oficial alternativo de la Provincia de Corrientes.-
Art.-2º-Incorpórase en todos los niveles del sistema educativo provincial, la enseñanza del idioma Guaraní.-
Art.3º.-Foméntese ,consérvese ,presérvese y difúndase la literatura en Guaraní.-
Art.4º.-Créase un organismo Permanente de rescate y revalorización de la cultura Guaraní en el área correspondiente.-
Art.5º.-Impónese la señalización topográfica y de otra índole en ambas lenguas.-
Art.6º-Promúevese la irradiación de audiciones a través de las cuales se enseñe y practique lengua Guaraní.-
Art.7º-Comúníquese al Poder Ejecutivo.
Dada en la Sala de Sesiones de la Honorable Legislatura de la Provincia de Corrientes a los veintiocho días del mes de Septiembre del año dos mil cuatro.Siguen firmas”.

e)Conclusión
El desafío para una provincia del Nordeste está hecho.Ahora queda mucho camino por recorrer.- Es cuestión de que las otras provincias del Nordeste tambien tomen el mismo sendero.La persecución,el abandono e inclusive la prohibición de hablar en guaraní fue una verdadera catástrofe cultural.Muchos correntinos debieron dejar sus estudios primarios ante la inconpresión de sus seudos educadores que solo se hicieron eco del proyecto colonial, de dominación, bajo el nombre de “civilización”, y estigmatizando de “barbarie” a nuestra cultura, destruyendo así verdaderos patrimonios de la humanidad. La historia se encarga ya y se encargará de sacar a flote la verdadera faceta de aquellos falsos próceres cuyos nombres llevan rios, lagos, calles, plazas y a quienes se les ha erigido monumentos, y dedicados dias especiales en su memoria, cuando que deberían estar sepultados, en el olvido y en el desprecio de los pueblos que fueron y son aun sus víctimas.
Para finalizar hago mías las palabras del autor del proyecto de la ley 5598 doctor Walter Insaurralde cuando se aprobó la Ley entregó este mensaje: " En la Povincia de Corrientes se produjo un evento singular en el plano cultural.En efecto el idioma guaraní adquirió, por Ley , el reconocimiento de lengua oficial.El Proyecto de ley 5598 sancionado en las últimas sesiones ordinarias de la Legislatura Provincial,está causando un notable impacto en la sociedad correntina,que hizo suya la gesta de una lengua que incontrastablemente es la vernácula, la que refleja y traduce fielmente su idiosincracia.
Innumerables entidades intermedias suman su apoyo y reconocimiento al hecho de convertirla en idioma oficial alternativo de Corrientes, y ello así porque como reza en sus fundamentos la norma “heredada de la etnia autóctona precolombina, resistió más de 500 años de conquista, manteniéndose viva en casi en todo el territorio de la provincia, configura un patrimonio cultural, que, por ser parte esencial de la identidad del pueblo correntino, debe ser protegido y promocionado para evitar su desaparición”.-“Se vuelve al idioma por amor a él, y porque con su ayuda cumplimos mejor nuestro destino histórico “(Saturnino Muniagurria) .-“..no hay defensa posible para una nación indígena si se le desbarata el orden de su pensamiento y el universo de su lengua”(Bartoméu Meliá).—Fue el grito de ¡¡¡guerra!!! de nuestros viejos abuelos criollos, de las grandes gestas correntinas por la libertad, nosotros a su ejemplo, en la paz y por la victoria del pensamiento y la cultura, repetimos “Jaha katu”.

-V-Trabajo a realizar: Hacia el pasado y hacia el futuro.
El desafío está:”Jaha rei katu hese” -Es cuestión de tomar el guante y para contrarrestarlo aceptar el reto que hoy nos presenta el fenómeno de la globalización el cual pretende borrar todo lo genuino de nuestros pueblos.
1º-Hacia el pasado
En lo que respecta al guaraní dos trabajos urgentes hay que realizar sin descuidar otros aspectos:Un primero se refiere al pasado ,es decir, ir al rescate de voces o palabras que existieron o existen en guaraní y que por comodidad o influencia del castellano se las van dejando prefiriendo usar palabras o voces castellanas. Al respecto hay que propiciar lo más rápidamente posible la publicación de vocabularios, referidos a palabras guaraníes, cuentos y leyendas guaraníes.Tambien en este contexto se inscribe mi reciente gramática que contiene numeroso vocabulario aun en uso en la Provincia de Corrientes y el presente trabajo..En mi gramática en cuanto la naturaleza del trabajo me permitió he consignado ,ejemplos y voces, aun existentes en guaraní, señalando las diferencias con el yopará y el guaraní paraguayo. Pero como ya señalamos más arriba el trabajo primero es consignar por escrito el modo como lo habla nuestro compaisano correntino.Ver y analizar el modo y la forma cómo se expresan.Solamente así se podrá llegar al corazón de nuestros niños que concurren a las escuelas con su sola lengua materna:El guarani.-Desde ya advierto del peligro, de importar profesores, que no posee la idiosincracia ni la manera de hablar de los correntinos. Exisen numerosos docenes correntinos que haban guaraní y solo es cuestión de atenderlos un poco para perfeccionar su guaraní. Adoptar la modalidad de importar profesores solo contribuirá a una mayor confusión mayor de la que ya de por sí existe. Es cuestión de comenzar bien desde el inicio, para no desandar luego caminos equivocados, que cuesta muchísimo enderezar.- Con respecto a este tema en este libro –en el que estoy trabajando – asigno especial importancia al vocabulario- como forma de rescatar voces del pasado y ponerlo al alcance de quienes quieran aprender.
2º-Hacia el futuro.

Un trabajo simultáneo debe realizarse hacia el futuro ,bajo pena de quedarse con un guaraní muerto, cadavérico e inmóvil que lo hablaron nada más que nuestros antepasados. Esto equivale a afirmar que si pretendemos que el guaraní esté a la altura de los tiempos es decir, con presencia en el habla de una nueva comunidad, la nuestrra - que lo va a adoptar como hijo rescatado del olvido, -debe preverse desde ya entre otras cosas ,la existencia de una autoridad que vaya fijando las nuevas pautas a regir una lengua viviente, enriquecida por y con la vida actual. En este marco se inscribe la traducción al guaraní de la Constitución reformada recientemente y que fuera entregada a la Legislatura para su impresión y difusión. Hoy el guaraní ha quedado rezagado, sin voces que reflejen realidades ,valores y conceptos actuales, en un estado-Nación, pero advirtiendo a su vez que este trabajo debe ser en forma seria y no como guitarréo fantasioso, como los inventores de neologismos, sin respetar la filosofía y el mecanismo de la lengua guarani.- A propósito de esto recuerdo que alguien llamó al café /-y hũ-/ es decir “agua negra” .-Si alguien pide /-y hũ-/ a un chico del campo, sin ninguna duda no le va traer café sino “agua negra” se decir agua sucia.- Esto traigo simplemente a título de ejemplo de lo que “no debe hacerse”.-Hay que respetar ciertos valores ya codificados e inamovibles entre los guaraní –hablantes actuales.Sentarse en un gabinete y crear palabras desde allí me parece que no es el camino adecuado y solo va a cosechar confusión desinteligencia, incomprensión e ininteligibilidad. Sin duda le faltará la aceptabilidad socila de la que hablan los lionguistas. Es preferible en estos casos recurrir al préstamo y al calco o guaranización de un vocablo del castellano aunque el resultado sea un yopará , o /-jehe'a-/ al que no debe rechazarse porque al ser la lengua un hecho social viviente es válida para la comunicación tal como ya lo hace nuestro pueblo. El pueblo es inteligente y espontáneamente va incorporando vocablos –que no existen en guaraní, pero que al guaranizarse adquiere nuevo sabor en su nuevo hábitat linguístico.- Por ejemplo si canto así en la despedida de un amor perdido “a darte mi despdedida a tu ventana “/-añemboja-/ estrofa de un chamamé muy conocido ,está perfecto.Es yopará pero que tiene un sabor especial, pues aunque sea mezcla de castellano y guaraní cuadra perfectamente para la letra y la melodía aquel agregado del “añemboja”. El proceso de integración del guaraní y el castellano se hallan en pleno evolución. No está acabado aun, como sucede ,como fenómeno ,en otras idiomas como el castellano. La cuestión es no introducir o recurrir al yopará cuando existen palabras guaraníes y que solo por ignorancia o comodidad no se las utiliza para expresarse. Y si se recurre –como el caso citado recien- hay que saber utilizarlo: En síntesis hay que saber guaraní y castellano, y esto se llama bilinguismo fin al que aspiramos para nuestras futuras generaciones –sean o no guaraní-hablantes – y que lleguen a manejarlo con perfección. Los hechos sociales se producen espontáneamente, son irreversibles y nadie debe, ni tiene el derecho a ahogarlo, sino que tiene el deber de respetarlo, y así debe ser nuestra actitud actual, ante el desafío que se nos presenta.